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Proteso verso la superficie di una fonte, alla quale si era recato per dissetarsi, un ragazzo scorge un volto bellissimo e perdutamente se ne innamora. Il suo nome è Narciso e quel volto altro non è che l'inconsistente riflesso della sua stessa faccia. Questa è la variante più celebre del mito, consegnata alla cultura europea dal poeta latino Ovidio, ma non è l'unica a raccontare la passione impossibile di Narciso. Sono innumerevoli le variazioni con cui il mito si è ripresentato nel corso dei secoli. I racconti della tradizione letteraria greca ruotano intorno al tema del potere che lo sguardo, le superfici rispecchianti e i doppi del reale possono sprigionare. La favola di La Fontaine è quella che più di ogni altra immortala il "narciso" per antonomasia e che restituisce, al contempo, una diversa declinazione del motivo dello specchio. La voce dei poeti simbolisti (Valéry, Rilke) celebra Narciso come figura rappresentativa dell'arte poetica e delle tensioni che si instaurano tra l'io e il canto. Miraggi, ombre e raddoppiamenti popolano, invece, i versi dei poeti del Novecento, presso i quali il mito di Narciso - convocato dichiaratamente (Williams, Lorca, Ritsos, Pasolini) o solo implicitamente (Borges, Walcott) - più che mai rivela la capacità di rigenerarsi in forme sempre nuove.